Intervista A Allan Holdsworth (Chitarre 1996)

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Machine translated version: Interview with Allan Holdsworth (Chitarre 1996)


Summary in English:

The interview with Allan Holdsworth, conducted by Mauro Salvatori in November 1996, discusses Holdsworth's latest album "None Too Soon" and his decision to focus on jazz standards. Gordon Beck, Kirk Covington, and Gary Willis joined him in this project, where they explored compositions by Coltrane, Reinhardt, Joe Henderson, and even Lennon-McCartney. Holdsworth mentions his approach to playing these standards and maintaining his unique style. He also talks about his musical influences, collaborations, and future projects, including a potential book on harmonic theory. The interview touches on his use of SynthAxe and his admiration for Italian culture and cuisine. [This summary was written by ChatGPT in 2023 based on the article text below.]

Intervista i Allan Holdsworth

Chitarre

Novembre 1996

Di Mauro Salvatori

Per chi ha avuto l'occasione di seguire la carriera più che ventennale di Allan Holdsworth questo suo ultimo disco rappresenterà un fulmine a ciel sereno: None Too Soon apre un nuovo capitolo per l'evoluzione artistica di questo grande chitarrista. Finalmente dopo anni spesi alla ricerca di una sua maturazione come compositore, questa volta Allan ci regala un album totalmente incentrato sugli standard jazz.

Abbiamo già recensito il disco su Chitarre nel numero di ottobre (e a questo vi rimando per una approfondita descrizione), ma val bene la pena di ricordare che, al fianco di Gordon Beck, Kirk Covington e Gary Willis, Allan si è cimentato con composizioni di autori come Coltrane, Reinhardt, Joe Henderson e addirittura Lennon-McCartney... Tanto hard be bop e molte atmosfere fusion dalle sonorità futuristiche: Allan tocca l'apice del tecnicismo in "Countdown", "Norwegian Wood" e "Isotope". Per un album di gran classe era per lo meno doveroso scambiare con lui quattro chiacchere: il telefono squilla a Los Angeles...

Allan, come mai la scelta di come mai la scelta di incentrare il contenuto di questo tuo nuovo lavoro su degli standard jazz: sembra una decisione piuttosto insolita, specie se rapportata alle tue precedenti pubblicazioni discografiche...

AH: Beh debbo ammettere che l'idea è partita da Gordon Beck, ormai siamo amici da così tanto tempo e parlando tra noi è uscito fuori il discorso su come spesso parecchia gente non riesca realmente a recepire i contenuti musicali delle mie proposte: c'è chi ritiene il mio repertorio troppo difficile, insolito, molto personale; così Gordon mi ha suggerito "...forse se tu incidessi un album con brani conosciuti, anche più familiari per un certo tipo di audience, probabilmente gli ascoltatori potrebbero seguire con maggiore facilità le tue direzioni, sia dal punto di vista chitarristico che da quello strettamente musicale"; e in effetti gran parte della mia musica punta ad essere il più originale possibile, il che può forse creare qualche difficoltà ad un primo ascolto, ma c'è anche da dire che tutte le mie composizioni sono basate su delle progressioni armoniche che poi diventano comunque per tutti gli altri musicisti che stanno suonando con me un veicolo su cui poter poi improvvisare, e quindi si può usare in ogni modo il termine jazz, anche se ovviamente i concetti tecnici con cui si muovono gli altri strumentisti all'interno dei miei brani non si possono definire propriamente straight ahead jazz (nel senso più tradizionale della frase], specie il lavoro dei batteristi, oppure anche le sonorità che spesso scegliamo in fase d'incisione e via dicendo. Insomma Gordon ha insistito, "...forse con un album di quel tipo il pubblico comprenderebbe di più le tue intenzioni" e così mi sono deciso, e debbo dire che sono molto contento di come è riuscito il lavoro alla fine!

Q: Ho saputo che hai avuto qualche difficoltà per la distribuzione del disco ...

AH: Sì, originariamente avevo firmato un contratto con la Polydor per una distribuzione negli States ed in Giappone, ma poi qualcuno dei grossi capi ha deciso che il disco non gli piaceva e così ho dovuto ricominciare tutto da capo - in effetti il lavoro di per sé è stato registrato più di un anno fa: per fortuna esiste da parecchio tempo ormai un ottimo rapporto di lavoro con Jean Marie Solani, della Cream Records francese, che già possiede il mio precedente catalogo di dischi, e così siamo stati comunque in grado di pubblicare il cd sul mercato europeo.

Q: Parliamo di qualche brano contenuto nel disco: come mai avete scelto i Beatles e la loro "Norwegian Wood"?

AH: Anche questa è stata una idea suggerita da Gordon Beck: molti anni fa lui aveva avuto occasione di registrare quel brano su un suo disco solista e così abbiamo voluto riprendere questa composizione cercando di riallacciarci in parte all'arrangiamento inciso all'epoca (il disco in questione è Experiments with Pops, e vi rimando al riquadro contenuto nell'articolo).

Q: Ritengo che il capolavoro dell'album sia la "Nuages" del grande Reinhardt...

AH: Ti ringrazio, debbo ammettere che sono sempre stato un fan di Django e quest'album ha costituito l'occasione per rendergli omaggio, così come sono sempre stato un acceso fan di John Coltrane - non a caso abbiamo anche inserito la sua "Countdown"; lo stesso vale per Joe Henderson e "Isotope". Sono tutti brani che fanno parte del mondo jazz, ma che io non considero propriamente degli standard, devo dire che probabilmente l'unico brano che potresti definire tale è "How Deep Is The Ocean" di Irving Berlin.

Q: In che misura pensi che il tuo fraseggio sia migliorato, o comunque cambiato, in questo caso specifico, cioè all'interno di strutture armoniche tutto sommato abbastanza diverse da quelle su cui poggiano in genere i tuoi brani?

AH: Mah, io non credo di aver suonato in modo diverso dal solito, diciamo che questa volta ho cercato di rispettare ed ispirarmi ad un certo tipo di idioma ben preciso, anche se - intendiamoci - una cosa che non volevo comunque fare, l'ultima cosa che vorrei fare [sottolineando in modo energico con il tono della voce] è suonare con quella tipica intenzione alla "Big-JazzFat-Guitar" che generalmente usano un po' tutti quando si trovano alle prese con certe situazioni musicali [e qui credo che Allan si riferisse al tipico suono caldo, rotondo, abbastanza comune per i vari chitarristi jazz tradizionali]. Non provo assolutamente interesse per questo tipo di cose, al tempo stesso non voglio dire che non mi piaccia questo o quel chitarrista, soltanto che se io suonassi con quel tipo di sound o fraseggio non si tratterebbe più di me, in qualsiasi tipo di contesto musicale io mi stia esprimendo voglio sempre che chi ascolta ritrovi me stesso ed il mio modo di suonare nel senso più aderente alla parola: uno dei motivi per cui sono soddisfatto di questo lavoro è proprio il fatto che alla fine, almeno per quanto mi riguarda, si sente che sono io a suonare e non ho fatto nulla per cambiare la mia personalità musicale - ad esempio ho usato la stessa chitarra che suono sempre, e in questo senso si è trattato di un vero traguardo il poter utilizzare delle sonorità distorte, averle inserite e fatte funzionare all'interno di un certo ambiente, cosa alla quale ho lavorato per tanto tempo; infatti in genere la chitarra distorta è sempre associata alla musica rock. Un altro elemento importante è costituito dall'aver potuto sfruttare quel particolare tipo di sustain: torno a ripeterti che forse quel tipo di musica magari può spingerti in una direzione anziché in un'altra, ma lo spirito di base è sempre quello; tutto sommato, così come faccio anche nelle mie composizioni, non ho fatto altro che improvvisare su degli accordi e basta.

Q: E a questo proposito come ti sei trovato dovendo incidere con una nuova sezione ritmica?

AH: Direi benissimo. Il motivo per cui abbiamo deciso di suonare con Gary Willis e Kirk Covington è stato molto semplice: qualche tempo fa io e Gordon abbiamo lavorato insieme con loro ad una compilation per riarrangiare dei brani dei Beatles, e in quell'occasione incidemmo "Michelle" [la compilation in questione è intitolata Come Together, Guitar Tribute To The Beatles, ed è prodotta da Mike Manieri, per l'etichetta NYC Records, distribuita dalla VMG, numero di catalogo NYC 6004 2]; tutto funzionò a meraviglia, così quando con Gordon abbiamo cominciato a parlare del progetto sono subito usciti fuori i loro nomi. Ovviamente abbiamo voluto che Gary e Kirk suonassero proprio a modo loro, senza impartirgli istruzioni o suggerimenti, e il loro contributo si è rivelato molto prezioso.

Q: Visto che parliamo di altre tue incisioni al di fuori del tuo album, recentemente hai inciso insieme ai fratelli Johansson: come definiresti questa collaborazione?

AH: Beh, si tratta di una dimensione musicale completamente diversa, senz'altro più rock; è un album molto buono a mio avviso, e anche in questo caso si tratta comunque di qualcosa di diverso rispetto a quello che suonerei se si trattasse della mia musica: direi che se lo ascolti ti rendi conto che la persona che sta suonando è sempre la stessa - mi piace pensare a None Too Soon ad un estremo, la collaborazione con i fratelli Johansson ad un altro, e poi nel mezzo la mia musica... ripeto, è importante capire che in fondo, comunque la si voglia ascoltare, è sempre la stessa persona a suonare.

Q: Allan, per tornare un attimo al tuo ultimo lavoro, ti è mai capitato precedentemente di studiare o suonare degli standard jazz nel corso della tua carriera? Ricordo alcuni tuoi concerti londinesi nei primi anni settanta al fianco di alcuni bei nomi nella scena jazz inglese di quel periodo...

AH: Oh certamente, anche se debbo dire che io sono cresciuto più ascoltando che non suonando il be bop. Comunque agli inizi, quando mi trasferii a Londra, ebbi l'occasione di collaborare con alcuni musicisti jazz, ad esempio Pat Smythe (pianista), e quindi anche l'opportunità di esplorare certe strutture musicali. Tuttavia debbo confessare che ho sempre cercato di interpretarle in maniera personale, tentando di raggiungere il mio modo di suonare, esattamente come ho cercato di fare nel caso di None Too Soon. Ovviamente oggi penso di suonare meglio rispetto ad allora - più passa il tempo e più si spera di migliorare.

Q: Una piccola curiosità per i nostri lettori: qualche anno fa mi ricordo che stavi lavorando ad una rielaborazione della tua "Tokyo Dream", è mai stata pubblicata su disco?

AH: Sì, ma solo per il mercato giapponese, anche se d'importazione la puoi trovare anche qui in America, non so in Europa; mi sembra che il titolo dell'album sia Wardenrclyffe Tower Plus Three perché vi erano contenuti alcuni brani reincisi su cui ero ritornato a lavorare, in parte diversi dagli originali registrati a suo tempo.

Q: Per quanto riguarda la strumentazione, che cosa hai usato su None Too Soon?

AH: Riguardo l'amplificazione ho registrato i suoni puliti in diretta sul banco passando per una D.I., mentre per i distorti ho alternato un Mesa Boogie Rectifier con un cabinet Rectifier da due coni per 12" ed un Sovtek, che ho apprezzato parecchio nelle situazioni un po' meno distorte, sempre ricche di sustain ma non altrettanto aggressive, come in "Nuages". Come chitarre ho usato una Steinberger ed un prototipo Carvin, ditta con cui sto collaborando in questo periodo.

Q: Un'altra piccola curiosità: che musica ascolta Allan Holdsworth quando non è impegnato a creare qualche altro capolavoro?

AH: Oh boy (ridendo divertito), la verità è che sono sempre tanto impegnato a lavorare, incidere, comporre e via dicendo, e il tempo sembra sempre poco, comunque nelle ultime settimane sono ritornato ad ascoltare compositori come Debussy, Ravel e Shostacovich.

Q: Una delle tue ultime pubblicazioni, forse la più inaspettata ma anche la più gradita, è stata quella del tuo video didattico per la REH, hai qualche nuovo progetto a questo proposito?

AH: Non lo so, per il momento non credo. È molto difficile cercare di pubblicare un video senza ritrovarsi a dover fare quello che stanno già proponendo gli altri, cose del tipo "fai così, metti la mano in quel modo, usa questa diteggiatura" e via dicendo; questo è stato esattamente ciò che ho cercato di evitare, mentre invece lo scopo di quel video era di tentare nuove vie per poter stimolare la gente a cercare altre idee, altre direzioni, aprire nuovi orizzonti creativi, e soprattutto poter dare loro nuove informazioni da poter poi usare a modo loro. Invece un nuovo progetto a cui ho appena incominciato a lavorare, ma prevedo che ci vorranno almeno un paio di anni prima di terminarlo, è un libro in cui mi ripropongo di spiegare in ogni singolo dettaglio come io ragiono dal punto di vista armonico.

Q: Immagino sarà un lavoro piuttosto duro da portare a termine...

AH: Soprattutto lungo direi, ma conterrà un po' tutte le formule che io in genere uso per ottenere scale e progressioni.

Mi è sembrato di vedere su qualche giornale una tua colonna didattica.

AH: Oh no, assolutamente, non scriverei mai per un giornale, la verità è che hanno ricopiato alcuni tagli da una intervista e poi li hanno fatti passare sotto forma di rubrica, e infatti sono arrabbiatissimo per questo. Inizialmente quando mi hanno chiamato per propormi l'idea li ho ringraziati del pensiero, ma gli ho fatto presente che non avevo tempo, e loro invece lo hanno fatto lo stesso... (e qui è seguita un espressione piuttosto colorita che Allan ha pronunciato con tono decisamente disgustato).

Per tornare un attimo a None Too Soon, ci sono grandi interventi chitarristici ma anche un brillante lavoro di SynthAxe, specie nelle armonizzazioni: pensavo avessi abbandonato questo strumento.

AH: Sì, in effetti adesso uso il SynthAxe solo occasionalmente, anche perché non ne posseggo più uno, ma amo ancora poterlo suonare in studio; in questo particolare caso mi è sembrato adatto poterlo inserire per ottenere un contrasto con le parti di piano e di dare così un senso più di spazio rispetto alle armonizzazioni sugli accordi, e a tal proposito mi sembra molto riuscito il brano in cui Gary Willis esegue il suo assolo, “Very Early", e dietro io riesco a creare quell'atmosfera molto ampia; purtoppo ho smesso di suonare dal vivo con il SynthAxe anche perché non li costruiscono più e quindi risulta abbastanza complicata la manutenzione.

Q: Da un discorso ad un altro: lo sai che Yngwie Malmsteen ha inciso di recente una versione di "In the Dead Of Night"?

AH: Oh sì, l'ho incontrato qualche tempo fa e mi ha detto che aveva in mente qualcosa del genere.

Q: Ti fa piacere?

AH: Certamente, comunque non ho ancora avuto modo di sentirla.

Q: Un consiglio per i lettori italiani di Chitarre, dal punto di vista tecnico ma forse anche - diciamo - filosofico?

AH: Innanzitutto io amo molto l'Italia e anche tutta la gente che ci vive, credo possegga quel particolare tipo di umanità e calore che è molto difficile per certi versi trovare in altri paesi. Per quello che ho sentito non c'è bisogno di consigli perché mi sembra che ci sia parecchio talento in giro da quelle parti, forse potrei suggerire di essere comunque sempre persistenti, di non mollare mai, "keep going man, don't give it up". Infine vorrei citare una frase che tengo comunque sempre in mente e che credo aiuti in qualche modo: "Spera per il meglio ma sii sempre pronto a dover fronteggiare anche il peggio!" [scoppiando a ridere divertito].

Q: E una tua considerazione sul piano musicale, per chi comincia oggi?

AH: Mah, ritengo che la cosa più importante sia trovare la via giusta per esprimere compiutamente te stesso, io sono stato influenzato da parecchi musicisti inizialmente, credo che sia bello comunque subire delle influenze, ma con il passare del tempo poi trovo a dir poco meraviglioso riuscire ad individuare il modo per realizzare qualcosa di unico!

Q: Progetti imminenti?

AH: Beh, ho già il materiale scritto per un nuovo album e spero di entrare al più presto in sala, in modo da poter pubblicare l'album all'inizio del nuovo anno; poi sto per formare un nuovo gruppo con cui voglio suonare qualcosa di totalmente nuovo, una via di mezzo tra quello che proponevo prima e questa inedita combinazione con certe componenti ed influenze più jazzate: ho già in mente i musicisti ma per ora preferisco mantenere il segreto. Soprattutto, spero di tornare "on the road" proprio la in Italia, ci sono già dei progetti e contatti, e ti confesso che ho nostalgia del pubblico italiano, della gente; e poi non dimenticare che sono un appassionato anche dei ravioli, i tortellini e, perché no, anche del buon vino! Sì, credo proprio che ci rivedremo molto presto!

Mauro Salvatori

The Gordon Beck Quartet: EXPERIMENTS WITH POPS

Major Minor Records Limited MMLP21

Un album a dir poco rarissimo e al tempo stesso imperdibile; se mai vi capitasse nel bel mezzo di una vacanza europea di aggirarvi per i mercatini londinesi di Camden Town o Portobello, oppure in quelli parigini non lontani da Les Halles dove è ancora facile inseguire il gusto del disco usato, provate a cercare, ne varrebbe la pena: questo album racchiude in sé uno sprazzo di storia a dir poco irripetibile! Quando nel 1968 Gordon Beck decise di tentare i suoi esperimenti con alcuni brani storici della pop music il mondo si stava lentamente avviando sulle soglie degli anni '70 e l'epoca del beat con i suoi sogni e fasti diventava ormai sempre più lontana; pianista colto e geniale, dotato di stile e fraseggio personalissimi, da li a poco Gordon Beck diventerà una figura storica nell'ambiente del british jazz, e non a caso in questo suo coraggioso LP (se si considera l'epoca di pubblicazione) compaiono dei personaggi altrettanto altisonanti ed oggi in qualche modo diventati leggendari: sulle foto della retro copertina appare alla chitarra un imberbe John McLaughlin mentre al basso Jeff Clynne e Tony Oxley alla batteria danno il via al quel sodalizio che da lì a poco li riconfermerà come una delle sezioni ritmiche inglesi più invidiate e richieste nell'area del jazz internazionale! Otto i brani contenuti, e tutti egualmente rivisitati in puro stile hard be bop con un gusto e sapore decisamente anticipatore di tutto quello che sarebbe successo da li a poco: la "Norwegian Wood" di Lennon-McCartney viene completamente stravolta dal l'arrangiamento swingante dei quattro, con una performance alla twelve strings acoustic di McLaughlin, così come accade per "Michelle" oppure la "Sunny" di Bobby Hebb; vengono riesaminati brani a dir poco inusuali per chi è abituato alle strutture del jazz tradizionale: scorrono quindi "These Boots Are Made For Walking", scritta da Lee Hazelwood per Nancy Sinatra, la figlia di The Voice, oppure “I Can See For Miles" degli Who o ancora la "Monday Monday" composta da Philips per i suoi Mamas & Papas, ed infine il capolavoro dell'album, quella "Good Vibrations" con cui i Beach Boys daranno uno scossone al panorama musicale dei tardi anni sessanta, anticipando con esperimenti sonorizzanti l'incalzare delle nuove tecnologie che da li a poco spazzeranno via l'epoca dei gruppi beat, ormai troppo ancorati al suono mellifluo delle varie chitarre stringate e troppo spesso usate come sottofondo ai vari coretti inneggianti al sempre entusiasmante yeh yeh di beatlesiana memoria: qui una chitarra spagnoleggiante sottolinea la melodia del brano con grande enfasi, per poi dare il via alle variazioni degli altri componenti in un suggestivo crescendo collettivo! Gordon Beck & Co. pionieristicamente prefigurano a tratti l'epoca del jazzrock, della fusion, ed ogni brano, pur muovendosi dentro gli stilemi di un robusto hard be bop, diventa, al di là della struttura originale, un pretesto ideale per improvvisazioni dove il gusto e la preparazione tecnica si fondono mirabilmente, raggiungendo vertici di espressività decisamente affascinanti. McLaughlin, in quei giorni alle prese con chitarre semiacustiche e suoni quindi molto puliti, a tratti caldi, sfodera un fraseggio nervoso, in qualche modo anticipatore delle sue prossime proposte post-d’avisine; Gordon Beck gioca e a suo modo ricompone i brani, proponendo un estro armonico senza eguali, Jeff Clyne al basso e Tony Oxley fanno il resto garantendo un solido ed onesto background, sconfinando a volte con qualche impennata nei territori un po' avventurosi del free jazz! Ormai fuori catalogo (chissà se qualche lungimirante editore avrà il coraggio di ristamparlo in cd?

) il disco è forse introvabile ma vale bene la pena di cercarlo! Il sottoscritto ha avuto fortuna: ve ne augura altrettanta!


HEAVY MACHINERY

Anders & Jens Johansson and Allan Holdsworth HEAVY MACHINERY

Heptagon Records AB

ANDERS JOHANSSON Un progetto musicale a dir poco JENS JOHANSSON insolito ed inedito per il duo dei and fratelli svedesi, che ormai vengono ALLAN HOLDSWORTH riconosciuti come una delle ali di punta del panorama musicale nordico. Anders Johansson ha cominciato suonando il piano, ma poi all'età di quattordici anni si è tuffato a studiare la batteria e da allora ha fatto molta strada: i più lo ricorderanno probabilmente al fianco di Malmsteen nei suoi Rising Force per i successivi cinque album multiplatinati, ma Anders ha collaborato in seguito anche con il bassista di John McLaughlin, Jonas Hellborg, e poi si è unito alla band di John Sykes, un personaggio che se l'è vista a suo tempo con band tipo Thin Lizzy e Whitesnake. Successivamente Anders ha anche trovato il tempo per suonare con il vocalist mega-star cinese Wei Wei: insomma un curriculum di tutto rispetto, così come lo è il suo drumming roccioso e preciso, a tratti freddo e spietato come il clima della sua terra d'origine. Jens Johansson è un tastierista di estrazione classica e d'avanguardia al tempo stesso, e cita tra le sue influenze la musica barocca e gente tipo Stockhausen e Ligeti; oltre ad esperienze con Malmsteen, ha suonato con band come The Silver Mountain e Dio: così entrambi i fratellini ormai hanno pubblicato diversi LP solisti e la loro etichetta Heptagon è tra le più attive nel panorama scandinavo. Non sorprende che per le loro direzioni musicali odierne i due si siano rivolti per questo loro progetto musicale proprio ad un musicista del calibro di Holdsworth: c'è realmente un po' di tutto in questo album, ma predomina una grande grinta, forse una rabbia certo inaspettata, a tratti inedita, che porta i due fratelli a costruire dei tappeti armonici e sonori su cui Allan può sfogare delle performance ai limiti della avventura armonica: progressioni di accordi tutto sommato abbastanza esigue, sonorità tastieristiche glaciali, e performance ritmiche spesso basate su tempi spezzati o comunque trascinanti dove non è difficile inserire le linee sperimentali, in parte atonali, di una chitarra che non sembra mai abbastanza soddisfatta delle improvvisazioni raggiunte! Ogni titolo potrebbe sembrare il più adatto a descrivere il contenuto dell'album: si va dall'iniziale "Joint Ventures", molto aderente agli stilemi del jazzrock targato primi anni '70, in cui Allan ripercorre certe linee solistiche che lo riconfermano il caposcuola di un itinerario tecnico-musicale ampiamente consolidato, per incappare poi nella "Mission Possible” dall'andatura vagamente blueseggiante in cui Jens Johansson si diverte con citazioni tastieristiche forse care al primo Brian Auger, ma che permettono poi delle escursioni con la leva per un Holdsworth decisamente a suo agio, mentre il brano si allarga all'infinito in modo sempre più coinvolgente; "Good Morning, Mr Coffee", nervosa, incalzante, con il suo ritmo spezzato e frenetico, aumenta la dose di impazienza per l'ascoltatore visto che poi il brano si allarga per un gioco di tastiere che va a sfociare in armonizzazioni sul 4/4 dove Allan inserisce convulsamente tutta una serie di fraseggi fin troppo audaci ed incontenibili: forse "Sioux Of The Day" strizza l'occhio a certe atmosfere un po' lunatiche, dal punto di vista armonico, care ai primi U.K. e con richiami tastieristici che non dispiacerebbero ad Eddie Jobson, ma poi in "On The Fritz" l'atmosfera ritorna ad una fusion giocata su controtempi ed incastri strumentali ad alto livello: per chi ha conosciuto le performance di Holdsworth nei primi album solo di Bill Bruford molte intuizioni, poggianti sul lavoro della ritmica, costituiranno poi una piacevole conferma, così come in "Never Mind Out Weather" oppure in "Beef Cherokee". Per chi ha voglia di ascoltare un Holdsworth scatenato e mai prevedibile o scontato, ecco l'occasione giusta: grazie anche a due preparatissimi ed intrepidi musicisti svedesi, i fratelli Johansson, un cognome da ricordare! (m.s.)